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La cantina Lumavite di Rapagnano produce ottimo igt Marche rosso e lo dedica a uno dei protagonisti dell’antica storia marchigiana. Sorseggi e immagini, ascolti eco lontane e ti par di vedere uomini in arme e cavalli al galoppo. Negli Stati Uniti il nostro vino conquista per bontà e capacità di evocare emozioni.
Oggi molti invitano a tornare alla terra. A darsi all’agricoltura. Lo facciamo però dopo aver rovinato una gran parte del nostro territorio. Basti guardare la Val Tenna e la Val Chienti con i suoi mostri di cemento, dove un tempo c’erano pesche e pere, mele e albicocche, razza bovina marchigiana, cavalli e maiali dalla cinta fermana.
Non è mai troppo tardi, recitava il maestro Manzi negli anni Sessanta.
Già, mai troppo tardi. Ma per tornare o riscoprire la bellezza, bontà (e durezza) dei campi, forse dovremmo ricordare anche chi siamo stati e come siamo stati. Non è l’archeologia agricola. E’ ripensare la propria storia per avere più spinta nel presente e nel futuro.
Fummo Piceni, abbiamo scritto in altra parte del giornale. Abili agricoltori e abili marinai. Terra ricca e ben coltivata, la nostra, nonostante i boschi.
Strabone scriveva: Natura Picenus ager aptus ad omnia…, l’agro piceno è per natura adatto ad ogni attività. Le olive nostrane aprivano e chiudevano i pranzi sontuosi. Marziale cantava: Il pane piceno si gonfia di bianchissimo nettare, come una spugna si gonfia d’acqua.
Annibale scese nel Piceno per l’abbondanza del nostro frumento. Marziale ancora ci racconta che la lavorazione della carne suina è antica di tremila anni e che la pecora adriatica aveva un pregio maggiore figliava due volte l’anno.
Può bastare per una ripresa di nuova coscienza? Può bastare a avanzare.
Riannodare le radici è il compito che ci spetta.

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